5
Ott
2018
Tempo rituale tempo quotidiano
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Ascoltare la nostra musica interna ci sintonizza sulla esatta scansione del nostro tempo personale.
Incolonnato su due file io, come altre decine di persone, mi appresto a guadagnare la mensola dello sportello dietro il quale un impiegato distratto dispensa i biglietti ferroviari.
Attorno a me volti non dissimili, falsamente trasognati, sui quali leggo la fatica del viver quotidiano, attendono il loro turno. Mimiche nervose, conversazioni concitate al cellulare o per contro l’oblio, mutuato dall’auricolare degli iPod che penzolano come nottole dormienti al collo degli astanti.È il quadro che vedo spesso quando mi trovo a condividere gli spazi comuni. Una piatta tela monocroma che è il ritratto di una gelida realtà priva di palpito.
È l’ostentata indolenza dietro la quale ci nascondiamo che mi disturba. È quell’accettazione remissiva dove non si contempla alcuna possibilità di cambiamento che mi infastidisce. Un’attesa cupa e mesta, sorretta solo dalla speranza che scenda un nuovo “messia riparatore”. Ma questa non è la soluzione.Vivere in pienezza non è un’eredità acquisita. Vivere in pienezza è il frutto di un lavoro costante, meticoloso, approfondito, come quello del mastro profumiere che dosa con oculata valentia essenze e fragranze.Una perseverante applicazione alla quale non ci si dovrebbe sottrarre, per evitare che l’inesorabile derapage ci diriga in quel grigio sentiero che conduce all’indolenza. O, per contro, che le reiterate fughe siderali senza approdo ci costringano inesorabilmente a viaggiare a mach 3, senza nemmeno chiederci se abbia un senso fuggire quando è ignota la meta da raggiungere.Perché troppo spesso ci lasciamo sommergere quotidiano senza opporre resistenza? Perché abbiamo perso il piacere di celebrare il nostro tempo rituale? Perché viviamo nel tempus dell’altro senza domandarci se anche questo è il nostro tempus. Per trovare delle risposte credo sia necessario domandarci se conosciamo il nostro tempo residenziale. Chiederci se in questa realtà cacofonica siamo riusciti almeno una volta ad ascoltare la nostra musica interna, quella che ci dà l’esatta scansione del nostro tempo personale, o andiamo avanti per tentativi. Se abbiamo consapevolezza del nostro stato momentaneo o rifuggiamo il presente con evitamenti repentini e cambi di rotta spericolati.Di fronte a questi dubbi a me rimane una certezza: solo quando ascoltiamo la nostra musica interna e le nostre intime risonanze, tutto scorre naturalmente tanto da farci sentire allineati con noi e con gli altri. Diversamente si piomba nell’indolenza incipiente, anticamera della psicosi, o si pratica la corsa frenata oltre ogni limite, testimonianza della sopraggiunta nevrosi collettiva.Forse sono cinico, ma la mia reazione è un gesto appassionato che vuole contrastare la deriva quotidiana. Perché, al di là del fatto che io possa considerarmi appagato, sono consapevole che tutto questo non è un dono divino, quanto più il frutto di un costante lavoro di coscienza responsabile: quella che ti permette di gustare il caldo abbraccio della quiete interiore.È la presa di coscienza il vero asso di denari che ti fa vincere la partita e chiudere in credito la serata! Essere consapevoli significa essere liberi. Liberi di vivere aderenti al proprio tempo ma anche di indossare “responsabilmente” il tempo dell’altro, pur sapendo a priori che non potrà calzarti a pennello.
Essere consapevoli è dare un senso al qui e ora. È comprendere che, se la velocità del tempo misurato è inesorabilmente la stessa per tutti, variando il rapporto con la stessa e modificando l’abitazione residenziale si può trovare una sana convivenza. Allora abitare il tempo quotidiano sarà il naturale dipanarsi della propria storia: una testimonianza di stile che rivela l’unicità dell’essere.Ma al tempo quotidiano si contrappone il tempo rituale. Il tempo della celebrazione, dove il gesto simbolico trova la sua espressione naturale per mantenere vivido il ricordo che è parte della storia.
Celebrare il tempo rituale è indossare i sacri paramenti. Quelli che ti conferiscono l’autorevolezza del ruolo e ti permettono di officiare la cerimonia in tutta la sua maestosa pregnanza. E se in quel frangente indossare mitra e piviale assume una valenza simbolica densa di significato, quando viene sradicata dal contesto rituale attesta semplicemente che chi la indossa non ha un’identità riconoscibile.
Questo sfoggio d’autorità che ti impone di esporre pubblicamente un segno distintivo, anche se questo non è consono o addirittura sfacciatamente fuori luogo, perché ben lontano dal significato profondo che esso rappresenta nel contesto deputato, è la testimonianza palese che non ti riconosci.Perché indossare la tiara non fa di te un sapiente monarca se non possiedi la consapevolezza di cosa significa essere un sapiente monarca. Al tempo stesso, sarebbe una mancanza di senso non legittimare il tuo ruolo coprendo le insegne, allorché ti appresti a svolgere mansioni ufficiali che la stessa carica richiede.Separare il tempo rituale dal tempo quotidiano non è solo un vezzo ma una vera e propria necessità che evita la confusione residenziale. Altrimenti, come potresti stare seduto comodamente sulla spiaggia e godere della brezza salmastra se la tua unica preoccupazione fosse quella di essere riconoscibile. Abitando il tempo quotidiano ogni blasone non richiesto è fuori luogo, perché lo spazio deputato ti permette di accogliere a piene mani la tua essenza, senza il bisogno di allestire alcuna rappresentazione.
Attorno a me volti non dissimili, falsamente trasognati, sui quali leggo la fatica del viver quotidiano, attendono il loro turno. Mimiche nervose, conversazioni concitate al cellulare o per contro l’oblio, mutuato dall’auricolare degli iPod che penzolano come nottole dormienti al collo degli astanti.È il quadro che vedo spesso quando mi trovo a condividere gli spazi comuni. Una piatta tela monocroma che è il ritratto di una gelida realtà priva di palpito.
È l’ostentata indolenza dietro la quale ci nascondiamo che mi disturba. È quell’accettazione remissiva dove non si contempla alcuna possibilità di cambiamento che mi infastidisce. Un’attesa cupa e mesta, sorretta solo dalla speranza che scenda un nuovo “messia riparatore”. Ma questa non è la soluzione.Vivere in pienezza non è un’eredità acquisita. Vivere in pienezza è il frutto di un lavoro costante, meticoloso, approfondito, come quello del mastro profumiere che dosa con oculata valentia essenze e fragranze.Una perseverante applicazione alla quale non ci si dovrebbe sottrarre, per evitare che l’inesorabile derapage ci diriga in quel grigio sentiero che conduce all’indolenza. O, per contro, che le reiterate fughe siderali senza approdo ci costringano inesorabilmente a viaggiare a mach 3, senza nemmeno chiederci se abbia un senso fuggire quando è ignota la meta da raggiungere.Perché troppo spesso ci lasciamo sommergere quotidiano senza opporre resistenza? Perché abbiamo perso il piacere di celebrare il nostro tempo rituale? Perché viviamo nel tempus dell’altro senza domandarci se anche questo è il nostro tempus. Per trovare delle risposte credo sia necessario domandarci se conosciamo il nostro tempo residenziale. Chiederci se in questa realtà cacofonica siamo riusciti almeno una volta ad ascoltare la nostra musica interna, quella che ci dà l’esatta scansione del nostro tempo personale, o andiamo avanti per tentativi. Se abbiamo consapevolezza del nostro stato momentaneo o rifuggiamo il presente con evitamenti repentini e cambi di rotta spericolati.Di fronte a questi dubbi a me rimane una certezza: solo quando ascoltiamo la nostra musica interna e le nostre intime risonanze, tutto scorre naturalmente tanto da farci sentire allineati con noi e con gli altri. Diversamente si piomba nell’indolenza incipiente, anticamera della psicosi, o si pratica la corsa frenata oltre ogni limite, testimonianza della sopraggiunta nevrosi collettiva.Forse sono cinico, ma la mia reazione è un gesto appassionato che vuole contrastare la deriva quotidiana. Perché, al di là del fatto che io possa considerarmi appagato, sono consapevole che tutto questo non è un dono divino, quanto più il frutto di un costante lavoro di coscienza responsabile: quella che ti permette di gustare il caldo abbraccio della quiete interiore.È la presa di coscienza il vero asso di denari che ti fa vincere la partita e chiudere in credito la serata! Essere consapevoli significa essere liberi. Liberi di vivere aderenti al proprio tempo ma anche di indossare “responsabilmente” il tempo dell’altro, pur sapendo a priori che non potrà calzarti a pennello.
Essere consapevoli è dare un senso al qui e ora. È comprendere che, se la velocità del tempo misurato è inesorabilmente la stessa per tutti, variando il rapporto con la stessa e modificando l’abitazione residenziale si può trovare una sana convivenza. Allora abitare il tempo quotidiano sarà il naturale dipanarsi della propria storia: una testimonianza di stile che rivela l’unicità dell’essere.Ma al tempo quotidiano si contrappone il tempo rituale. Il tempo della celebrazione, dove il gesto simbolico trova la sua espressione naturale per mantenere vivido il ricordo che è parte della storia.
Celebrare il tempo rituale è indossare i sacri paramenti. Quelli che ti conferiscono l’autorevolezza del ruolo e ti permettono di officiare la cerimonia in tutta la sua maestosa pregnanza. E se in quel frangente indossare mitra e piviale assume una valenza simbolica densa di significato, quando viene sradicata dal contesto rituale attesta semplicemente che chi la indossa non ha un’identità riconoscibile.
Questo sfoggio d’autorità che ti impone di esporre pubblicamente un segno distintivo, anche se questo non è consono o addirittura sfacciatamente fuori luogo, perché ben lontano dal significato profondo che esso rappresenta nel contesto deputato, è la testimonianza palese che non ti riconosci.Perché indossare la tiara non fa di te un sapiente monarca se non possiedi la consapevolezza di cosa significa essere un sapiente monarca. Al tempo stesso, sarebbe una mancanza di senso non legittimare il tuo ruolo coprendo le insegne, allorché ti appresti a svolgere mansioni ufficiali che la stessa carica richiede.Separare il tempo rituale dal tempo quotidiano non è solo un vezzo ma una vera e propria necessità che evita la confusione residenziale. Altrimenti, come potresti stare seduto comodamente sulla spiaggia e godere della brezza salmastra se la tua unica preoccupazione fosse quella di essere riconoscibile. Abitando il tempo quotidiano ogni blasone non richiesto è fuori luogo, perché lo spazio deputato ti permette di accogliere a piene mani la tua essenza, senza il bisogno di allestire alcuna rappresentazione.
Questo è vivere il tempo quotidiano in perfetta aderenza con sé stessi. Diversamente si crea il caos: quel disordine abitativo che è la manifestazione palese di un presente disordine interiore.