A servizio o Asservito
Le due parole a confronto di questo editoriale non sono state facili da trattare.
Perché toccano argomenti che coinvolgono noi e gli altri, i quali richiedono di essere trattati al di sopra delle parti. Sebbene la parechesi possa confondere il significato dei due vocaboli che è diametralmente opposto.
Essere a Servizio significa prestare la propria opera: per competenza professionale o come gesto spontaneo.
Se si tratta di un gesto spontaneo, la buona creanza suggerisce che un sentito ringraziamento sia doveroso.
La parola Asservire ha tutt’altro significato concettuale. Non si tratta di una prestazione elargita bensì di una riduzione in schiavitù.
Ho voluto utilizzare questa locuzione incisiva non perché mi sono ispirato ai prigionieri di Sing Sing, ma per dare un’immagine forte del concetto.
Certamente oggigiorno nessuno di noi ha i ferri alle caviglie, però per la riduzione in schiavitù si ottiene con mezzi subdoli che arrivano allo stesso risultato.
Per esempio: la tecnologia e i suoi derivati offrono una vasta gamma di possibilità.
Dal semplice satellitare collocato sulla tua auto, al Drone che ti passa “inavvertitamente” sulla testa.
Il primo suggerito come espediente per ridurre il costo della polizza, l’altro spacciato come oggetto che preserva la tua sicurezza, mentre il vero scopo per cui si è alzato in volo può essere ben altro.
So che l’argomento è spinoso e contrapporre l’avanzata del progresso alla ritrosia di accogliere il nuovo senza riserve, è come attraversare le Bocche di Bonifacio nel mezzo di una tempesta con un trimarano sgangherato
…Nonostante abbia compiuto i vent’anni più di una volta, mi ritengo una persona dinamica: nel corpo e nello spirito.
Ho imparato ad accogliere i cambiamenti che l’avvicendarsi del tempo impone senza capriccio, cercando di restare aderente all’Essere, evitando di cadere nella trappola della sindrome dell’eterno adolescente.
E seppur consapevole che il compromesso talvolta sia utile a sbloccare una situazione in stallo, quando posso scegliere evito di annientare il mio Sè per assoggettarmi alle richieste dell’altro. Conscio che questo sia il modo migliore per avere rispetto di me stesso.
Perché, un conto è essere flessibili e adattarsi alle circostanze, un altro è prostrarsi a capo chino con gesto deferente, davanti a colui che non lo merita.
Anche sul fronte del servizio occorre fare un po’ di chiarezza. Soprattutto quando si tratta di servizio volontario, altrimenti è facile confondersi o travisarne il senso.
Se il servizio è un gesto spontaneo che scaturisce dal cuore è un conto, altrimenti anche il gesto nobile può trasformarsi in un errore di valutazione.
E ti trovi a fare il volontario alla Caritas, senza però badare a tua nonna ottuagenaria che avrebbe bisogno delle tue attenzioni.
L’esternazione, ruvida come la carta vetrata, ai perbenisti può far storcere il naso. Ma – come pare abbia affermato Carl Marx – anche la strada per l’inferno è lastricata dalle migliori intenzioni.
A volte essere a servizio può comportare il sacrificio di una parte delle proprie esigenze per il bene comune, o contrapporre al proprio Ego un’azione di largo respiro. Infatti il popolo italico fa fatica entrare in questa forma di pensiero perché, nonostante siano trascorsi i secoli, l’onda lunga del Feudalesimo e delle Signorie ancora si fa sentire. L’Italiano non riesce ad avere la visione grandangolare, e spesso il singolo è asservito al piccolo despota: con quell’atteggiamento ossequioso e ambiguo che ha lo stesso sapore del cibo rancido mal conservato.
Ora però vi racconto un aneddoto inerente al tema, che mi ha fatto sorridere.
L’altro ieri, mentre facevo colazione in un bar del Centro Commerciale, mi sono inzaccherato addentando un cornetto alla crema.
Allora sono andato in bagno per lavarmi le mani.
Entro nell’antibagno – ringraziando il Covid 19 che, se non altro, ha reso i bagni pubblici puliti e lindi come non si era visto mai – e mi avvicino ai vanitori.
Mentre mi strofino ben bene le mani come vuole la prassi – a costo di farmi venire le piaghe come padre Pio – sento qualcuno che parla, ma non vedo nessuno.
Sto per andarmene quando un giovane/adulto (come chiamano adesso i quarantenni, per farli sentire ancora produttivi) apre la porta del gabinetto ed esce con il cellulare appollaiato sulla spalla.
Mi sono detto: Ammazzate oh! Costui è meglio di Mandrake.
È riuscito ad armeggiare nella patta. Ha gestito con destrezza il getto del Walter – come lo chiama la Littizzetto. Ha riposto nel forziere i gioielli di famiglia, senza smettere di telefonare e senza far cadere lo smartphone nella tazza!
Una performance da Joungleur pentastellato: senza alcuna allusione al Movimento.
Peccato che il Cirque du Soleil abbia chiuso i battenti per bancarotta, perché una tale performance sarebbe stata un’attrazione galattica.
Veramente un’occasione persa!