Presenza o Presenzialismo
Il 21 febbraio 2020 è stata l’ultima volta che ho tenuto una conferenza in presenza.
Da quella data sono passati molti mesi e non c’è stata più l’occasione, come ben tutti sappiamo.
Lo stare in presenza, come si dice in gergo, è ormai un ricordo perché al momento troppe restrizioni – giuste o sbagliate, lo lascio decidere a voi – limitano le dinamiche dei rapporti quotidiani.
Certamente “papà internet” nell’emergenza ci ha soccorso e ci ha permesso di mantenere le relazioni con i congiunti, i colleghi e gli amici.
Difficoltà di connessione a parte, il mezzo tecnologico ha dato un nuovo ritmo alle nostre giornate “reclusive”; come qualcuno le ha ribattezzate.
E… seppur in conclave, siamo riusciti a tenere aperta una finestra sul mondo. Almeno in senso metaforico.
Vi dirò che, essendo un’allodola, ho gustato con piacere le mattinate silenziose,Senza traffico e senza smog. Seduto comodamente a leggere sul balcone, come un pascià.
Ora che siamo nella fase 2, la libertà vigilata, sono preoccupato per l’atteggiamento che sta prendendo piede sull’utilizzo della rete. È un bisbiglio crescente che – come canta Don Basilio nella celebre aria “La Calunnia” del barbiere di Siviglia – va scorrendo va ronzando, nelle orecchie della gente si introduce destramente. […] E alla fin trabocca e scoppia, si propaga e si raddoppia come un colpo di cannone che fa l’aria rimbombar. E il meschino calunniato, avvilito, calpestato, sotto il pubblico flagello per gran sorte va a crepar!
Auspicando che questo non succeda, la mia mente rutilante si chiede: se utilizzare la rete significa semplificare il quotidiano, viste le nuove possibilità di gestire i tempi e gli spazi, non è che proseguendo in tale direzione anestetizziamo lo scambio?
I contatti online sono asettici e privi di emozioni. L’esperienza è presto dimentica, perché non corredata da alcuno stimolo sensoriale.
La moderna Neurologia dice che nella parte inferiore del cervello umano c’è una piccola zona chiamata Amigdala – che significa mandorla – preposta all’archiviazione delle esperienze e dei ricordi. Una specie di server ante litteram.
Attraverso degli esperimenti mirati, i ricercatori hanno riscontrato che la stimolazione olfattiva richiama alla memoria un ricordo vivido e ricco di particolari significativi.
Ad esempio: per rivivere nel dettaglio l’esperienza delle vacanze estive trascorse da bambino nella casa di campagna della nonna – io ci andavo con il mio compagno di giochi, Marco Polo – basta abbinare al ricordo il “profumo” della marmellata e della fetta di pane casareccio che la nonna preparava a colazione.
Sembra strano però, la cosa non mi stupisce: visto che l’Homo Sapiens è nato dall’evoluzione del regno animale. E si sa che gli animali si annusano, perciò… Detto questo, non vorrei che la riflessione fosse interpretata come un invito a tenersi lontano da saponi e detergenti intimi. Soprattutto adesso che l’anticiclone africano è in piena attività.
Però l’argomento può essere uno spunto di riflessione perché la presenza stimola i sensi, accende le emozioni, e mette quel pizzico di paprica che rende appetitoso anche un piatto di riso bollito.
Per contro, mai come in questi mesi il Presenzialismo mediatico è stato così florido. Prezzemolini e Prezzemoline si sono assiepati con sfacciataggine negli studi televisivi a ogni ora del giorno e della notte.
Sulla tolda sono saliti opinionisti di dubbio lignaggio e soloni gabellati, che hanno profuso altisonanti punti di vista con sì tanta convinzione da adombrare il pensiero del Mahatma Gandhi.
E chi non ha avuto accesso al sacro convivio – celebrato dall’allora “cubo vetrato” trasformatosi in un sottile similquadro appeso in parete, a evidenziare visibilmente l’inconsistenza dei dibattiti che ci propina Mangiafuoco – non sono rimaste che le “Reti Sociali”. Come le chiama correttamente Corrado Augias.
A loro non è rimasto che aprire le cataratte verbali e ammorbare gli schermi dei nostri pc, senza ritegno alcuno.
Un amico – uno di quelli veri, in carne e ossa, scelto dopo un vaglio scrupoloso – mi ha inoltrato un post con l’effigie di Minerva Mac Granitt: l’inflessibile professoressa protagonista della saga di Harry Potter. Sotto il suo ritratto si legge: L’ignorante sa molto. L’intelligente sa poco. Il saggio non sa niente. L’imbecille sa sempre tutto.
Messaggio tosto ma… efficace.
I lettori che mi seguono settimanalmente – ai quali estendo un sincero grazie – sanno che non è mia usanza soffocare l’opinione l’altrui. Anche se non è in linea con la mia.
Non ho la presunzione di coprire la bocca (per questo bastano già le mascherine!) di chi manifesta il suo dissenso, anche se con piglio deciso. Ascolto con interesse l’opinione dell’altro e mi metto in discussione; a patto che ogni tesi sia sorretta da una impeccabile coerenza.
Anche io non sono nato imparato però ammetto che nel corso della mia vita ho incontrato degli ottimi insegnanti. Che nel praticare l’arte della maieutica mi hanno trasmesso l’essenza del loro sapere, e hanno allargato gli orizzonti della mia mente.
Tra i vari Maestri, quelli con la emme maiuscola che non si fregiano del titolo perché loro stessi sono testimoni di senso, devo includere – perdonate la presunzione – anche la mitica Zia Ita: già citata in un precedente editoriale.
Mi è venuto in mente l’aneddoto che risale a parecchi anni fa, che accadeva proprio verso la fine di luglio.
…Decisi di farle visita un pomeriggio d’estate. Anche allora faceva un gran caldo.
Arrivai in paese verso le 15:30. Entrai in casa sua ma di lei non c’era traccia.
Provai a chiamarla pensando fosse al piano di sopra, però non ottenni risposta.
Allora pensai: chiedo notizie alla vicina di casa.
La signora che affettuosamente chiamo “La Stasi” – perché mi informa sui movimenti della Zia per farmi stare tranquillo, visto che vivo a 50 km dal paese –
e perché è sempre aggiornata sui movimenti di tutto il vicinato.
Lei mi dice che l’ha vista uscire e andare in direzione del centro storico.
Conoscendo l’imprevedibilità di mia Zia, mi sono rassegnato ad aspettare il suo ritorno a casa.
Dopo 45 minuti lei arriva: trafelata e col fiatone.
La rimbotto: “Zia, ma ti pare che a 85 anni sia il caso di uscire con questo caldo?”.
“Ma, dove sei andata!”.
Lei mi guarda e serafica risponde: “Sono andata da mia sorella”.
La incalzo: “Sei andata da tua sorella! Ma non potevi telefonarle”.
E lei, salomonica, sentenzia: “Ah no! Mi l’avija pròpe da manca ëd parleje.”
Che letteralmente significa: avevo proprio bisogno di parlarle.
Ma concettualmente significa: volevo incontrarla faccia a faccia.
Meditate gente, meditate!
Condivido pienamente il tuo pensiero caro Giovanni
Oggi i ragazzi quando dicono “ci siamo sentiti” non intendono una conversazione se non vis a vis almeno per telefono , no no sentiti uguale messaggiatii , termine di nuovo conio ma molto utilizzato
Loro si “sentono” su Instagram, Facebook, Twitter ecc
Che tristezza! Un messaggio non sotto intende il tono di voce, le sfumature del linguaggio che molto spesso cambiano il senso di una frase
Oggi si è sempre connessi, sempre a disposizione
Confesso che nei mesi di clausura ho gradito Zoom ,Skype , Face Time…. mi hanno tenuto compagnia, ma non vedevo l’ora di sedermi da Dezzutto con un’amica per una sana chiacchierata occhi negli occhi