Realismo o Relativismo
Realismo o Relativismo: guardare in faccia la realtà o giocare di sponda?
Questa mattina ho fatto un po’ fatica a trovare le due parole da mettere a confronto, poi ho pensato che in questo momento storico il Realismo è di casa, e l’ho contrapposto al Relativismo.
…Anche se ci spalmiamo lungo i 1300 km dello stivale, e siamo diversi per educazione o modi di vivere, gli italiani fanno fatica a coordinare il pensiero e l’azione quando si tratta di abitare con realistica coerenza il quotidiano.
La parola Realismo suona alle nostre orecchie come una Settima Diminuita*: l’Accordo dissonante che il compositore utilizza quando vuole creare una tensione emotiva. Perciò buona parte del pubblico non lo ama, preferendo l’atmosfera impalpabile e sospesa dall’accordo di Quarta e Sesta**. Una coperta calda che avvolge e attutisce i rumori molesti. Ripara dagli spifferi e invita a posporre ogni risoluzione.
Anche se noi italiani siamo considerati dei maldestri apprendisti in alcuni settori, quando si tratta di utilizzare tattica del Relativismo diventiamo dei Maestri con la emme maiuscola.
Così “fioriscono” le definizioni più bislacche. Quelle che scansano il crudo Realismo e ci adagiano dolcemente nelle placide acque del Relativismo. E vai con i Minuetti di corte corredati di pizzi, crinoline, e cicisbei.
I ciechi – non gli abitanti dell’ex Regno di Boemia, ma gli altri – adesso si chiamano “non vedenti” in osservanza al nuovo politically correct. Però nessuno si preoccupa realmente di investire del danaro e dotare di sensori sonori i semafori dei grandi incroci. Così da consentire ai “non vedenti” di attraversare l’incrocio senza rischiare di essere stirati come un gatto in tangenziale, dal Vettel di turno che pensa di essere a Maranello.
Anche i disabili si devono chiamare “diversamente abili” in virtù del fatto che posseggono abilità che gli altri non hanno. E questo mi riempie d’orgoglio ma: tutto finisce lì.
Nessuno si adopera realmente per dotare gli autobus di passerelle idonee e funzionali, per farli salire a bordo senza che debbano aver conseguito il patentino del C.A.I. Visto che non stanno sulla “ferrata” del Cervino, ma devono semplicemente utilizzare un mezzo di trasporto.
L’epidemia dilaga e si espande in ogni ambito, come una macchia di sugo sulla camicia bianca appena indossata.
Così, quando ti siedi al ristorante, è la “waitress” che ti porta il menù.
Già, perché chiamarla cameriera è volgare. Potresti offendere la sua sensibilità.
Peccato che alla ragazza in questione abbiano cambiato solo il nome e non sia cambiata la sostanza.
Scusate l’arroganza: a conti fatti penso che lei preferisca essere chiamata cameriera, in cambio di un regolare contratto di assunzione e un adeguato compenso. Che ne dite?
Non vado oltre perché non vorrei stazionare nella retorica: luogo sempre molto affollato nonostante il dictat della distanza sociale.
Ironia a parte, credo che sia giunto il momento di tornare a essere realisti e chiamare le cose con il loro nome.
Un realismo schietto come un bicchiere di grappa friulana, che ti scalda il cuore nelle fredde sere d’inverno.
Il paradosso è che tutto quello di cui abbiamo bisogno è già dentro di noi. Però lo ripudiamo con disprezzo quando non corrisponde alle aspettative o lo guardiamo con distacco perché non degno di attenzione. E ci lasciamo vincere dall’indolenza.
Come disse durante un programma in TV il sociologo Umberto Galimberti. Uno dei pochi personaggi pubblici che seguo sempre con grande interesse, per la chiarezza dei suoi ragionamenti e l’esposizione essenziale dei concetti.
Priva di supponenza o pontificale gestualità. “Gli italiani sono seduti su un sacco di pane però muoiono di fame”.
E sull’onda della chiarezza mi permetto di dire che è proprio l’aderenza col reale che ci rende liberi.
Liberi di scegliere ciò che di noi possiamo modificare, e liberi di accogliere ciò che in noi non è modificabile.
Però, se volessimo realizzare un fantastico Handplant*** – come fanno i campioni di Snowboard – in nome del libero arbitrio, potremmo addirittura decidere con limpida consapevolezza di abitare il quotidiano sconnessi dal reale.
A patto di farsi carico delle conseguenze che la scelta stessa richiede.
Non so perché in questo momento mi è venuta in mente la “Valeriona nazionale”.
Un fenomeno mediatico interessante, dove l’aderenza fedele al modello modifica addirittura percezione del reale.
Aldilà di quello che lei sa o non fare.
E in un’improbabile realtà, addirittura immaginarla davanti ai fornelli la mattina, intenta a scaldarsi una tazza di latte.
Con indosso la vestaglia di seta. Le pantofole rosa e il marabù al collo: ovviamente.
Ganza! Direbbe il figlio quindicenne del mio vicino di casa.
Note:
*La Settima Diminuita è un accordo di 5ª specie e si trova soltanto sul VII grado della scala minore armonica.
Questo accordo ha la particolarità di essere formato solo da intervalli di 3ª minore.
** L’accordo di quarta e sesta si costruisce sovrapponendo alla nota più grave della triade un intervallo di quarta e uno di sesta.
*** Hand plant: figura dello Snowboard che consiste nell’afferrare con una mano il bordo del “pipe” e con l’altra mano la tavola, facendo una verticale.