Nella botte piccola c’è il vino buono
Nella quale, se non applico il principio della reciprocità inversa, non è detto che ci sia il vino cattivo. Considerando che proverbio non lo indica.
E se a differenza di quantità, anche nella botte grande ci fosse il vino buono, sarebbe una tragedia.
Per ora il dubbio resta perciò, in mancanza di un dato oggettivo, mi devo fidare. Oppure, se la cosa mi disturba, provare a capovolgere l’assioma.
Ero un ragazzino e parlando con un’amica a proposito di un nostro coetaneo, che non era certo una bellezza folgorante, mi disse: però, è tanto un bravo ragazzo.
Ma io, che ero discolo, risposi: ci mancherebbe pure che fosse cattivo. Sarebbe un cataclisma.
Pronunciai la frase con sottile ironia, senza dispregio, e fui perdonato.
Ora, sebbene abbia suggellato un atto di fede, decido comunque di cercare un riscontro che attesti l’autenticità del Detto.
Apro Wikipedia e cerco il nome di alcuni personaggi che, nonostante la loro “fisicità compressa”, hanno lasciato un segno.
Vedo che sono in buona compagnia. Nell’ordine trovo: Ludwig Van Beethoven, Napoleone Bonaparte, Vittorio Emanuele, Gabriele D’Annunzio; fino ad arrivare a Woody Allen e Daniel Radcliffe.
Però il dato oggettivo non mi basta e, cadere vittima del compatimento, è un attimo perché: sebbene in un mondo di ciechi Polifemo è un Re, al netto dei fatti pur sempre un occhio solo ha! Mi sa che devo cambiare tattica e cercare altrove.
Ci penso un po’ e poi mi ricordo di aver letto un libro di Schumacher – non l’ex pilota della Ferrari che per anni ha sfidato la morte correndo ai 300 all’ora; e poi si è cimito il cervello con una banale caduta dagli sci, tanto da non poter nemmeno più guidare il tosaerba in giardino (c’è da riflettere) – bensì Ernst Friederich Schumacher, che nel 2011 pubblicò un libro dal titolo: “Piccolo è bello”.
Un saggio in cui il filosofo visionario, dopo aver trascorso parecchi anni nelle missioni dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, ipotizza il collasso generale del sistema capitalistico e gli effetti distruttivi dell’industrializzazione sulla salute psicofisica dell’uomo, a favore di un Nuovo Risorgimento della società.
Dove il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente, uniti alla lotta contro l’analfabetismo al fine di elevare le generazioni future, è il cardine del suo pensiero innovativo.
Teorie ardite e condivisibili – almeno per me – anche se di non immediata attuazione; visti i tempi.
Ispirato, mi faccio portavoce e dico: perché non cominciamo noi a dare il nostro piccolo (per restare in tema) contributo quotidiano.
Iniziando da oggi, perché domani è tardi.
Potremmo tornare ad apprezzare il valore delle piccole cose, dei piccoli gesti, delle sfumature: troppo spesso soffocate dalla chiassosa platealità, che nulla a che spartire con il nobile gesto garbato.
E… visto che sono in vena di citazioni, prendo anche spunto da un piccolo taccuino di Francoise Heritier: Il sale della vita.
Un libricino dove il protagonista riflette sul suo passato, per rendersi conto che il valore delle piccole cose incorpora una gemma lucente, in grado di illuminare anche la più urfida giornata autunnale.
Assaporare il valore delle piccole cose è facile: basta non lasciarsi distrarre dal superfluo e vivere in presenza coesa il qui e ora.
Prestare attenzione alla corsa sfrenata di un bimbo che gioca nel parco con gli amichetti (perché ha dei genitori intelligenti).
Ammirare la chioma brunita di un Larice, pennellata dal sole del meriggio.
Lasciarsi cullare dalla risacca mentre si cena sulla spiaggia, o gioire di una semplice melodia suonata con estro da un artista di strada.
Piccole cose che non apprezziamo più perché ci sembrano inutili, antiquate, ma che mantengono intatta la grazia dell’essenza.
Una telefonata all’amico che non senti da un po’, in alternativa alla pigra consuetudine di inviare un messaggio, con la scusa – poco credibile – di non disturbare.
Un Buongiorno e un sorriso – ovviamente dopo aver tolto la mascherina (?!) – al barman che ogni mattina ti serve un eccellente caffè, per ringraziarlo della sua premura. Così non si sente al pari della macchinetta posta in un angolo del tuo (ex)ufficio, nella quale infili distrattamente sessanta centesimi.
Le persone dozzinali potrebbero pensare che tutto questo sia un lezioso balletto con Pizzi e Crinoline. Non è così.
Per me è un segno distintivo e anche un moto di sottile ribellione nei confronti del gregge massificato, nel quale – perdonate lo sfottò – non mi sono mai riconosciuto.
L’attenzione al particolare non è un gesto frivolo anzi: cambia totalmente l’assetto.
È come una goccia d’inchiostro che cade in un catino pieno d’acqua.
Al primo sguardo la differenza non si vede però, se si analizza la composizione chimica del liquido, non è più la stessa.
E se siamo in tanti a mettere una goccia d’inchiostro nel catino, cambierà anche il colore dell’acqua.
Azzardo: “l’attenzione al dettaglio” dovrebbe essere materia di studio per giovani virgulti – futuri uomini adulti, si spera – perché capiscano che non è proficuo fermarsi al superficiale apparente. Bisogna andare oltre.
Cogliere nella piccola sfumatura ciò che di sè e dell’altro è la cifra stilistica distintiva.
Ora, senza rinnegare quello che ho scritto finora, ho un’urgenza: devo andare al Balon a comprare la lampada di Aladino. Strofinarla per bene e chiedere al Genio di farmi diventare alto 1,90. Almeno per un giorno intero.
Per non trovarmi più sulla “linea ascellare” quando prendo l’autobus al mattino. Per acquistare un paio di pantaloni in un negozio da uomo, e non più alla Zero12.
Per potermi prendermi un pacco di biscotti dietetici, messi sull’ultimo piano dello scaffale, senza mendicare l’aiuto del pennellone di turno.
Son soddisfazioni!